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Come (non) ripartire dal lavoro pubblico

I sindacati confederati – CGIL, CISL e UIL – hanno appena siglato con il governo, e nello specifico col neo-ri-Ministro Brunetta il “patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale”. 

Era difficile pensare un avvio peggiore per il mondo della pubblica amministrazione, nonostante le indimenticabili gesta della “Riforma Brunetta” del 2008-2009. Ma andiamo con ordine. 

Le lettere chiave del patto sono le prime quattro dell’alfabeto ad indicare “Accesso”, “Buona amministrazione”, “Capitale Umano” e “Digitalizzazione”, il tutto seguendo il motto evergreen di “aumentare produttività ed efficienza”, dimenticando come la misura di produttività – nel pubblico come nel privato – sia ben lontana dall’essere oggettivabile, osservabile e soprattutto linea guida nella definizione del salario.

Infatti, la teoria marginale pretende di misurare correttamente il contributo individuale di qualsiasi lavoratore all’interno di un sistema produttivo complesso, alla cui produzione di una unità di prodotto concorrono differenti individui e differenti unità di capitale – aprendo anche la questione sull’unità di misura del capitale.

La “contabilità individuale” è quindi un costrutto ideologico e politico ben lontano dalla realtà: nessun datore di lavoro è in grado di osservare e misurare il contributo marginale di ciascun lavoratore al prodotto finale, sia esso una merce o un servizio pubblico.  

Nonostante ciò, si pretende di indirizzare una nuova riforma della Pubblica Amministrazione su un binario sempre più privatistico riformando "l’Accesso” con nuove forme lontane dal classico concorso centralizzato. Al contrario, si propongono forme più digitali, decentralizzate e flessibili. Non è dato sapersi se le forme di “flessibilità” in entrata corrispondono anche alla flessibilizzazione del rapporto di lavoro, ma è chiaro che l’indirizzo è verso “modelli di team multidisciplinari che introducano modalità più agili e innovative”. 

Se l’idea è rendere il lavoro pubblico – che negli ultimi anni ha agito da scudo contro aumenti più vertiginosi nella disuguaglianza e downgrade occupazionale-salariale – molto più simile a quello privato dobbiamo aspettarci che anche i giovani professionisti, a cui Brunetta e sindacati ambiscono, saranno vittime del nuovo precariato pubblico, affermando che è necessario “limitare al minimo «e solo se «indispensabile e giustificato» l’utilizzo delle risorse del Piano per l’assunzione di nuovo personale pubblico”. 

Inoltre, si prevedono cambi significativi anche nelle forme contrattuali di accesso. Infatti, la contrattazione integrativa sarà maggiormente dominante, decentrando la negoziazione e “per valutare e premiare la performance”. L’idea di avvicinarsi sempre più al privato – colpendo così al cuore il presunto privilegio dei dipendenti pubblici consistente in una condizione di lavoro più sicura e dignitosa rispetto al disastroso precariato privato – trova conferma anche negli strumenti di welfare contrattuale.

Il welfare contrattuale è una forma di decentrazione della contrattazione collettiva e sostituisce salario con servizi a favore della produzione privata di servizi, nello specifico in termini di sanità. Sanità privata che se la passa benissimo di questi tempi, al contrario del martoriato sistema sanitario che in questo anno ha dato letteralmente la vita. 

La privatizzazione del lavoro pubblico riguarda anche la formazione del personale che deve “favorire l’osmosi con il settore privato per favorire scambi di conoscenze” dove queste forme di mobilità inter-settoriali vengono rese requisito di avanzamento con la creazione di un “syllabus di competenze” necessarie, cadendo nuovamente nella più vuota retorica di un dizionario privato che è totalmente inutile per descrivere la complessa realtà produttiva. 

Non è dato sapersi come il Ministro Brunetta intenda favorire questo processo di digitalizzazione che richiede competenze interne durature. Negli ultimi anni i servizi essenziali sono stati esternalizzati con l’obiettivo di snellire la pubblica amministrazione, in linea con i vincoli di bilancio, e con l’idea che il settore pubblico sia un peso inutile costituito da lavoratori fannulloni. Tuttavia, senza un serio piano di rinvigorimento della produzione pubblica che prescinda da un dizionario privato privo di significato e di neolinguismi, è impossibile evitare il suo declino.

È necessario reintegrare servizi essenziali nella pubblica amministrazione, evitare l’esternalizzazione eccessiva con l’obiettivo del minimo costo – che si scarica sui lavoratori precari del settore privato e delle cooperative generando disparità di trattamento per stessa occupazione. Questo, però, pare non interessare il Ministro e tantomeno i sindacati confederati che hanno sacrificato l’idea di lavoro – quanto pubblico che privato – per un aumento lordo di 107 euro.

Rosa Luxemburg all’inizio del ‘900 a seguito del nuovo accordo salariale degli operai di tipografia in Germania, identifica nei sindacati tedeschi lo stile inglese, cui obiettivo dei sindacati è quello di un blando riformismo del capitalismo in nome di una pace sociale da preservare. Ecco, i confederati italiani si sono adeguati allo stile inglese – abdicando alla reale difesa dei lavoratori – da troppo tempo e gli effetti in termini di disuguaglianze salariali e di peggioramento delle condizioni di lavoro sono evidenti. 

Data
15 Marzo 2021
Articolo di
Luca Giangregorio

Luca Giangregorio

TAG
accordo, brunetta, pubblica amministrazione, sindacati

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Luca Giangregorio

Luca Giangregorio

Studente PhD presso l'Università Pompeu Fabra di Barcellona. Ricerca su temi di disuguaglianza, mobilità intergenerazionale e stratificazione sociale.

Commenti

  1. La Pubblica Amministrazione che serve. Che cosa crea valore? - ilSole24ORE 2 Giugno 2021 alle 00.08

    […] di certo la Pubblica Amministrazione necessita di riforme urgenti, soprattutto per la gestione dei fondi del Next Generation EU, il problema non è la presunta […]

    Rispondi

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