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I paradisi fiscali in Europa: come il fisco light favorisce le multinazionali

In Europa esistono Paesi come Olanda, Irlanda, Lussemburgo e Belgio che sono dei veri e propri paradisi fiscali , in cui le multinazionali attraverso un istituto chiamato "tax ruling" possono concordare con le autorità competenti il trattamento fiscale per un periodo di tempo determinato, ottenendo una significativa riduzione delle imposte dovute. L’aliquota effettiva della tassazione sugli utili di impresa tende così ad avvicinarsi allo zero.

Com'è noto, i paradisi fiscali aiutano selettivamente un’impresa a discapito delle altre, andando a distorcere la competitività del mercato unico europeo. Questi aiuti selettivi rientrano nella regolamentazione degli aiuti di Stato, che sono disciplinati dagli articoli 107, 108 e 109 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea).

Per essere più chiari, il primo paragrafo dell’articolo 107 del TFUE ci spiega cos’è un aiuto di Stato e quando è incompatibile con il mercato unico europeo:

 “Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.”

Le regole sulla concorrenza all’interno del mercato unico europeo, sono applicate dalla Commissione europea che contemporaneamente svolge una funzione di vigilanza. Nel giugno del 2013 la stessa Commissione ha iniziato ad esaminare i “tax ruling” garantiti da alcuni Stati membri e nel dicembre del 2014, subito dopo l’insediamento della nuova commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager e della tredicesima Commissione europea guidata da Jean-Claude Juncker, l'ispezione è stata estesa a tutti gli Stati europei.

Da quel momento in poi sono susseguite una serie di decisioni storiche, più precisamente: nell’ottobre del 2015 la Commissione ha concluso che il Lussemburgo e l’Olanda hanno garantito vantaggi fiscali selettivi a FCA e Starbucks; a gennaio del 2016 ha dichiarato che il Belgio ha favorito fiscalmente almeno 35 multinazionali; nell’agosto del 2016, la Commissione si è pronunciata sull’Irlanda, che dal 1991 ha garantito dei vantaggi fiscali ad Apple, e ha stabilto che la società americana dovesse restituire gli aiuti di cui ha usufruito (circa 13 miliardi di euro, più gli interessi).

APPLE E L’IRLANDA

Concentriamoci sull’ultimo caso (quello più importante). Apple, tramite il tax ruling, è riuscita a versare una cifra irrisoria di imposte: dal 2003 la società Apple Sales International (succursale dell’Apple in Irlanda) ha pagato sugli utili societari un’aliquota effettiva dell’imposta dell’1%, che gradualmente è diminuita fino allo 0,005% del 2014.

Quando la Commissione ha preso la sua decisione, Apple aveva sei società in Irlanda, ma solo tre potevano essere considerate residenti fiscali dall’Irish Revenue. Le società su cui la Commissione si è concentrata sono state ASI e AOE, che vendevano i prodotti Apple nelle regioni EMEIA (Europe, Middle East, India and Africa) e APAC (Asia-Pacific region). Esse però non erano riconosciute come residenti fiscali in Irlanda.

Per la Commissione europea una società costituita in Irlanda, o gestita e controllata a livello centrale in Irlanda, si deve intendere come residente fiscale in questo Stato. Ciò implica che deve essere soggetta all’imposta sugli utili societari (con riferimento a quelli generati a livello mondiale).

Nel Taxes Consolidation Act 1997 (TCA 97) erano presenti due eccezioni a questa regola, di cui una fondamentale per il caso Apple, secondo la quale una società presente in un paese (l’Irlanda) ma controllata in ultima istanza da un soggetto di un paese diverso (gli Stati Uniti), non poteva essere considerata come residente fiscale nel primo paese (Irlanda). Il problema era che non poteva essere considerata residente neanche in un’altra giurisdizione fiscale.

Tuttavia, nel 1991 erano stati creati dei ruling fiscali tramite degli accordi tra il governo irlandese ed Apple, in cui si era deciso di calcolare gli utili in base ai costi operativi di ASI e AOE, che non corrispondono assolutamente alla realtà economica poiché gli utili imponibili erano di gran lunga inferiori a quelli realizzati. In più nel 2007 è stato modificato il ruling fiscale, avvantaggiando ulteriormente (come se ce ne fosse bisogno) la società con sede a Cupertino negli Stati Uniti.

Quindi, grazie ai ruling fiscali, la maggioranza degli utili di Apple venivano imputati ad una sede centrale di ASI e non venivano tassati, mentre una piccola parte (quella imputata alla filiale irlandese di ASI) era soggetta a tassazione. Lo stesso avveniva per AOE.

Per capirci, Apple nel 2011 aveva un utile di circa 16 miliardi di euro e solo 50 milioni sono risultati imponibili. L’aliquota effettiva sugli utili della società non era neanche lontanamente vicina a quella - comunque bassa - del 12,5% che vigeva per le altre società nello stesso Paese. Così, la decisione della Commissione è stata quella di punire Apple, obbligandola alla restituzione di 13 miliardi di euro più interessi al fisco Irlandese.

L’Irlanda e la società Apple Inc. hanno impugnato la decisione davanti la Corte di giustizia europea, che ha annullato la stessa nel luglio 2020 poiché la Commissione è stata dichiarata rea di non aver provato la violazione dell’articolo 107 del TFEU. In sostanza la Corte ha rimproverato alla Commissione di non aver dimostrato che l’aiuto fosse stato selettivo. La stessa sentenza è stata pronunciata per il caso che ha coinvolto Starbucks e il Lussemburgo nel 2019.

PARADISI FISCALI

Irlanda, Olanda, Lussemburgo e Belgio sono pertanto dei paradisi fiscali all’interno dell’Europa, che non garantiscono la concorrenza del mercato comune europeo.

Vedendo la classifica dei paradisi fiscali per le multinazionali stilata in base al “Corporate Tax Haven Index” del 2019 (un indice basato su quanto aggressivamente e quanto intensamente ogni Paese contribuisce ad aiutare le multinazionali a non pagare le imposte, erodendo le entrate fiscali di altri Stati in tutto il mondo), l’Olanda si trova quarta al mondo, il Lussemburgo sesto, l’Irlanda undicesima e il Belgio sedicesimo.

Questo corsa al ribasso, porterà molto probabilmente ad una diminuzione delle aliquote di imposizione effettive sugli utili delle imprese proprio per non farle andare via dal proprio Paese, creando una competizione tra Stati che cercheranno di abbassare sempre di più le aliquote per attirare più multinazionali, e quindi investimenti esteri e occupazione.

Si creerà una guerra tra Stati in cui le uniche vittime saranno lavoratori e i cittadini, che difficilmente vedranno abbassare le imposte sui loro redditi, un’ipotesi alquanto plausibile, come dimostrano i dati della Banca mondiale in cui si nota che i paesi dell’Unione (come quelli dell’EFTA), presentano  la più bassa aliquota media per la tassazione dei profitti delle imprese, mentre la tassazione sui lavoratori è la più alta.

La conseguenza negativa per i cittadini è che lo Stato avrà meno entrate fiscali (nel caso in cui abbassasse le imposte sugli utili societari), che invece potrebbero essere spese per i servizi pubblici essenziali.

Jim Clarken, lo chief executive di Oxfam Irlanda, discutendo del caso Apple ha spiegato che i 13 miliardi di euro risparmiati dalla società americana sono l'equivalente del bilancio annuale per il servizio sanitario irlandese, ed oggi si può capire quanto questa cifra sia importante.

Ciononostante, con l’annullamento della decisione sul caso Apple-Irlanda, la Corte di giustizia europea, ha inviato un messaggio chiaro: in Europa è concessa la presenza di paradisi fiscali e le multinazionali se ne potranno avvantaggiare.

I paesi del Sud hanno la colpa di non avere la volontà politica di cambiare la situazione attuale. La soluzione potrebbe essere una tassazione unica europea sugli utili delle società e una disciplina comune per il calcolo degli stessi. Ciò risolverebbe il problema della guerra fiscale tra i paesi dell’Unione Europea.

Data
20 Settembre 2020
Articolo di
Alessandro Guerriero

Alessandro Guerriero

TAG
paradisi fiscali

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Alessandro Guerriero

Alessandro Guerriero

Classe ‘99, sono uno studente di scienze economiche presso l’Università degli studi Roma Tre. Mi sono laureato con lode in economia politica a Roma Tre con una tesi sull'influenza della…

Commenti

  1. L'accordo sulla tassa minima globale è davvero storico? 25 Giugno 2021 alle 10.55

    […] to the bottom” e limitare i vantaggi per le multinazionali nello spostare la propria sede legale nei paradisi fiscali, anche esistenti in Europa, come il Lussemburgo, l’Olanda e l’Irlanda. Per fare un esempio, se l’aliquota effettivamente […]

    Rispondi
  2. Patrimoniale: le ragioni della politica e la ragionevolezza della politica fiscale 1 Dicembre 2020 alle 16.48

    […] sostenere che vogliamo tassare il capitale finanziario, ma questo capitale ha una natura significativamente diversa da quello immobiliare: è mobile. Non […]

    Rispondi
  3. Capire la neolingua dell'economia (per non usarla più) 25 Novembre 2020 alle 08.50

    […] qualcosa alla concorrenza, questa sarebbe la cosiddetta “race to the bottom” che incentiva la nascita dei paradisi fiscali in tutto il mondo e in Europa, facendo aumentare i profitti per le imprese. Invece le forme di […]

    Rispondi

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