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Le nostre cose: period poverty in Italia e nel mondo

Dalla "tampon tax" alla "period poverty", un'analisi e alcune proposte.

Il lusso del ciclo

Quanto costa, in Italia, avere le mestruazioni? Secondo un articolo di FanPage, un pacco di assorbenti costa circa 3 euro e in media ne vengono utilizzate due confezioni a ciclo. Questo significa una spesa di 84 euro annui per ogni membro del nucleo familiare di sesso femminile. Un ammontare considerevole, soprattutto se pensiamo che si tratta di un bene del quale nessuna donna può fare a meno. Nonostante ciò, sugli assorbenti, in Italia, si applica un'IVA del 22%, ovvero l’aliquota standard riservata a quei beni considerati “voluttuari”: non necessari, ma diretti alla soddisfazione di esigenze più sofisticate. I beni riconosciuti come di prima necessità, invece, godono dell’aliquota ridottissima del 4%.

La scelta di quali prodotti classificare come necessari e quali no è fondamentalmente un atto politico. Tra i primi troviamo, senza troppe sorprese, la maggior parte dei prodotti alimentari, ma anche libri e giornali: chiaro segnale che il consumo di questi ultimi, sebbene non legato al soddisfacimento di bisogni fisiologici individuali, è incoraggiato dallo Stato, in quanto risponde al bisogno pubblico di formare un elettorato consapevole e informato.

Allo stesso tempo, salta agli occhi la presenza dei rasoi da barba. Sembrerebbe che per gli uomini farsi la barba sia un diritto, mentre per le donne sia un lusso sentirsi a proprio agio a prescindere dal proprio ciclo ormonale.

La scelta è politica, ma anche le conseguenze lo sono. Inserire gli assorbenti tra i beni di prima necessità non solo allevierebbe il peso economico che le donne sono costrette a sostenere a causa delle mestruazioni, ma normalizzerebbe l’assorbente in sé, ponendolo allo stesso livello di prodotti altrettanto fondamentali che non ci vergogniamo di portare in borsa – una confezione come tante tra uova e giornali.

E di conseguenza alla decostruzione e lo smantellamento del tabù che da sempre circonda il “il ciclo femminile”.

Già, perché fin da piccole, la nostra società patriarcale insegna alle bambine che delle mestruazioni non dobbiamo parlare. Sono le “nostre cose”, non le loro. Dobbiamo sempre avere con noi un assorbente, per ogni emergenza. Ma se a scuola, in biblioteca o in ufficio ci alziamo per andare in bagno a metterci un assorbente dobbiamo farlo di soppiatto, con l’assorbente ben nascosto nel pugno della nostra mano. A vergognarci, se a volte macchiamo le lenzuola o i nostri vestiti. Oggi, fortunatamente - anche se di strada da fare ce n’è ancora decisamente molta[1] -  si è aperto un dibattito esplicito e pubblico su molte questioni che sono figlie ed eredità una società sessista e patriarcale. La questione “mestruo” è fra queste.

Recentemente, si è iniziato a parlare (a voce alta, senza vergogna) di normalizzazione del ciclo mestruale e di period poverty. Quest’ultima indica un problema globale, che colpisce donne e ragazze che non hanno accesso a prodotti sanitari sicuri e igienici, e/o che non sono in grado di gestire le loro mestruazioni con dignità, a volte a causa dello stigma e delle sanzioni della comunità.

Secondo l'UNICEF, 2,4 miliardi di persone nel mondo vivono senza servizi igienici di base nei paesi in via di sviluppo. In Kenya, il 65% delle donne non può permettersi prodotti per l'igiene mestruale. Inoltre, molte scuole rurali non hanno servizi privati dove le ragazze possano cambiarsi, ma devono farlo in spazi comuni, nei quali sono stati registrati numerosi casi di violenza. L'88% delle ragazze keniote si trova a disagio nel ricevere informazioni sulle mestruazioni dalle loro madri. Diversi studi dimostrano che due donne su tre nelle zone rurali del Kenya ricevono prodotti mestruali dai loro partner sessuali, cementando il rapporto di dipendenza.

Bisogna tenere a mente che non si tratta di un fenomeno circoscritto ai paesi in via di sviluppo, ma tocca molto da vicino anche l’Occidente. In Italia, due milioni di donne vivono in condizione di povertà assoluta e hanno difficoltà nel comprare prodotti per il ciclo.

Il nostro paese sembra essere decisamente indietro rispetto ad altri in questo e molti altri processi di decostruzione della narrativa patriarcale e nella battaglia per la parità di genere.

Proposte politiche: il mondo e l’Italia

La distribuzione e l’acquisto degli assorbenti sono diventati materia su cui legiferare da anni a questa parte. Nel mondo due sono i casi notevoli: Scozia e Nuova Zelanda.

In Scozia, dove la maggioranza parlamentare appartiene allo Scotland National Party, che sposa istanze progressiste sulla falsariga delle socialdemocrazie nordiche, è stato approvato nel 2020 il Period Product Bill. Questo provvedimento di legge garantisce l’accesso gratuito agli assorbenti a chiunque ne necessiti ed è stato approvato all’unanimità. Ma già dal 2018, per combattere la Period Poverty, la Scozia garantiva assorbenti e prodotti per l’igiene intima alle studentesse. Il costo stimato di questa iniziativa è di 6,4 milioni di dollari.

Anche la Nuova Zelanda, dove la prima ministra Jacinda Ardern ha avuto una riconferma alle ultime elezioni, da giugno garantirà assorbenti e prodotti per l’igiene intima gratuiti all’interno delle scuole. Si stima infatti che circa 95mila studentesse sono costrette a saltare giorni di scuola poiché non possono permettersi i prodotti sanitari.

La tampon tax, cioè l’aliquota applicata sui prodotti per l’igiene femminile, è un altro tema caldo. In Italia una riduzione dell’Iva, oggi al 22% invece del 4% di altri prodotti essenziali, fu proposta da Pippo Civati nella precedente legislatura, ma la proposta non andò avanti. Una direttiva europea, infatti, permette di abbassare l’Iva su questo tipo di prodotti, ma non di cancellarla.

Alcuni paesi europei, come la Spagna e la Francia, applicano sui prodotti per l’igiene femminile una tassazione rispettivamente del 10% e 5,5%, anche se recentemente il governo di sinistra spagnolo ha dichiarato l’intenzione di abbassarla al 4%.

Nel mondo paesi come il Canada e il Kenya, il primo a farlo al mondo nel 2004, hanno completamente abolito la tampon tax: questo, come già detto, non sarebbe possibile in Europa.

Abbassare la tampon tax?

Non c’è dubbio che un abbassamento della tampon tax sia, dal punto di vista umano e anche dal punto di vista della finanza familiare, una necessità. Supponendo infatti 4 euro come costo medio di un pacco di assorbenti e supponendo che - molto ottimisticamente -  una donna ne usi un solo pacco al mese, ogni anno andrebbe a spendere 48 euro. Questo per singola persona. Se l’IVA fosse al 4%, il costo sarebbe, all’incirca di 40 euro. Su base annuale, quindi, una famiglia con madre e due figlie risparmierebbe 24 euro.

Ma nasce un problema economico: il consumo degli assorbenti è una necessità. Una donna non li comprerà solo se non potrà permetterseli. Se lo Stato adottasse provvedimenti per far sì che questo non avvenga (vedi proposta di distribuzione gratuita alle minorenni/studentesse e a famiglie basso-reddito) si ammortizzerebbe il rischio che, realisticamente, un'abolizione o forte riduzione dell'IVA possa indurre comportamenti speculativi da parte dei produttori di assorbenti con possibili ingenti aumenti di prezzo. Essendo che, come appunto diciamo, gli assorbenti sono un bene di prima necessità i produttori potrebbero essere portati ad aumentare i prezzi, essendo venuto a mancare l'ingombro dell’IVA.

Per questo la proposta va inserita in un contesto più ampio che ci sentiamo di abbozzare.

In primo luogo, seguire l’esempio di Nuova Zelanda e Scozia, garantendo distributori di assorbenti e prodotti per l’igiene intima all’interno delle scuole. Questo, oltre a essere un supporto economico non indifferente per le famiglie, potrebbe funzionare anche per normalizzare e abbattere il tabù delle mestruazioni che affligge la nostra società. Ciò non è tuttavia abbastanza: non possiamo infatti negare le difficoltà di lavoratrici precarie, disoccupate. Come ci ricorda Michela Cella, ridurre la disuguaglianza non vuol dire trattare tutti in modo uguale, ma tentare di eliminare le differenze agendo con equità". Per questo, si potrebbe pensare, oltre a una riduzione dell’IVA, una distribuzione gratuita sulla falsariga di quanto avviene con i preservativi in regioni come l’Emilia Romagna, legando questa distribuzione al reddito. In questo modo, le case produttrici sarebbero disincentivate ad aumentare i prezzi sugli assorbenti, avendo il consumatore la possibilità di reperirli gratuitamente.


Note:

[1] Basti vedere i commenti al post di Repubblica ritraente Leandra Medine Cohen con la gonna macchiata di sangue (https://www.instagram.com/p/CKyZDWfKaHV/) .

Data
23 Marzo 2021
Articolo di
Andrea Galeotti

Andrea Galeotti

TAG
donne, tampon tax

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Andrea Galeotti

Andrea Galeotti

Andrea Galeotti è Dottoranda in Economics presso l'Università di Siena. Ex Alunna del Collegio Ghislieri, ha conseguito una Laurea Triennale in Filosofia (UniPv) e un MSc in Economics (UniSi). Si…

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